Nel mondo ci sono 50 milioni di bambini e adolescenti sradicati a causa di fuga e migrazione. Altri milioni sono particolarmente colpiti dalle ripercussioni di questi flussi migratori. Ma in che direzione si muove gran parte di queste persone sfollate?
I bambini in fuga non sono mai stati tanti come oggi. L’aumento dei conflitti, il rafforzamento di gruppi estremisti e regimi autoritari, la crescita della povertà e delle catastrofi naturali, più numerose e violente a causa dei cambiamenti climatici, costringono sempre più persone ad abbandonare la propria terra. Secondo le ultime stime, il numero dei bambini sfollati in tutto il mondo è salito a 50 milioni.
Gli sfollamenti senza tregua da zone di crisi e di guerra hanno fatto sì che si formassero nel corso degli anni vie di fuga irregolari, le cosiddette vie di fuga principali, utilizzate da un numero particolarmente alto di persone sfollate. Lungo queste rotte migratorie di massa si verificano complessi spostamenti di popolazioni. Richiedenti asilo, rifugiati, migranti oggetto di traffico e vittime della tratta di esseri umani sfruttano le stesse rotte e gli stessi mezzi di trasporto; tuttavia, i motivi per cui hanno abbandonato la loro terra sono diversi («mixed migration»).
Tutti hanno abbandonato la propria terra per cercare rifugio altrove.
Migranti: persone che si trasferiscono o vengono trasferite oltre un confine internazionale o dalla loro residenza abituale entro i confini di uno Stato – indipendentemente dal loro status giuridico, dal motivo, dalla durata e dalla natura volontaria o involontaria del trasferimento. Fanno parte di questo gruppo anche i rifugiati e richiedenti asilo.
Rifugiati: persone alle quali è stata accordata protezione in un altro Paese, in quanto sono in grado di dimostrare di essere perseguitate a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza a un determinato gruppo sociale o delle convenzioni politiche.
Richiedenti asilo: tutte le persone che cercano protezione internazionale. Spesso questa terminologia è usata nel linguaggio giuridico per indicare una persona che ha richiesto lo status di rifugiato o un’altra forma di protezione internazionale, ma sta ancora aspettando la decisione definitiva riguardo alla definizione del suo status. Un richiedente asilo può essere anche una persona che ha intenzione di richiedere asilo, ma non ne ha ancora presentato la richiesta formale.
I termini persone in cerca di protezione e persone sfollate sono generici e includono tutti i casi sopra elencati.
Le rotte migratorie di massa vengono erroneamente considerate vie a senso unico che portano da un punto A a un punto B. Si tratta però di un’idea riduttiva, che non basta a spiegare la complessità delle vie di fuga. Soprattutto a causa dei severi controlli lungo molte vie di fuga principali, le persone in cerca di protezione cercano spesso di raggiungere i loro Paesi target facendo lunghe deviazioni. Inoltre, la maggior parte delle persone sfollate sfrutta non una ma più vie di fuga. La maggior parte dei canali di immigrazione irregolari hanno un percorso tortuoso e multidirezionale e non di rado sono pericolosi per la sopravvivenza.
Tra le maggiori vie di fuga di tutto il mondo figurano la «rotta del Mediterraneo centrale», la «rotta dell’Asia sud-occidentale», la «rotta dell’Africa orientale» e la «rotta dell’America centrale». Lungo le vie di fuga principali le persone che migrano si spostano sia via terra sia via mare e spesso attraversano più Paesi.
Vie di fuga verso l’Unione Europea (UE)
Nonostante i Paesi dell’UE, a causa della loro stabilità politica ed economica, siano una destinazione ambita per le persone in cerca di protezione di tutto il mondo, i numeri di rifugiati continuano a essere scarsi rispetto al Sud del mondo. Da un lato, ciò dipende dal fatto che i rifugiati cercano generalmente sicurezza nelle vicinanze delle regioni d’origine, che si trovano in gran parte nel Sud del mondo, e contano di farvi ritorno presto; d’altro canto, molti di loro non dispongono dei mezzi finanziari necessari per fuggire in luoghi molto più lontani. Inoltre, non di rado la migrazione verso l’Europa è ostacolata dalle restrizioni all’ingresso di molti Paesi di transito o Paesi target.
Contrariamente alla percezione diffusa in Europa, gli Stati del Sud del mondo ospitano quasi la metà dei migranti e oltre il 75 per cento di tutti i rifugiati e sfollati interni registrati al mondo. La maggior parte dei movimenti di sfollati hanno quindi luogo a livello interregionale.
La rotta del Mediterraneo centrale parte da innumerevoli Stati mediterranei nordafricani, come la Tunisia e la Libia, e attraversa il Mediterraneo in direzione della costa italiana e oltre. Qui convergono i percorsi di migrazione dell’Africa occidentale, centrale ed orientale. Per la maggior parte delle persone sfollate, la traversata verso l’Italia è spesso solo l’ultima tappa di un lungo viaggio che si protrae per mesi e talvolta addirittura per anni.
La rotta del Mediterraneo centrale è una delle maggiori vie di fuga del mondo. Nel contempo, è anche una delle più mortali: nel 2023 sono giunte in Europa attraverso questa via quasi 160 000 persone; nello stesso periodo di tempo, l’UNHR ha segnalato più di 2000 morti e dispersi nel Mediterraneo centrale – un numero destinato ad aumentare. I casi non segnalati sono probabilmente ben di più, poiché molti naufragi non lasciano sopravvissuti o non vengono segnalati.
Anche numerosi bambini arrivano nell’Unione Europea attraverso la rotta del Mediterraneo centrale. In cerca di pace, sicurezza e migliori opportunità di istruzione e di un futuro, durante ogni tappa del loro viaggio sono esposti a grandi pericoli: ad esempio a causa di violenza psichica e fisica, sfruttamento, malnutrizione, separazione dei genitori o familiari, mancanza di accesso all’assistenza sanitaria e matrimoni forzati. Sono particolarmente a rischio i bambini che viaggiano senza una persona adulta responsabile che li accompagni, o perché sono fuggiti da soli, oppure perché durante la fuga sono stati separati dai familiari che ne hanno la custodia. Il numero dei bambini che varcano il confine da soli corrisponde al 70 per cento di tutti i bambini che arrivano in Europa attraverso la rotta del Mediterraneo centrale.
Coloro che sopravvivono alla traversata vengono innanzitutto trattenuti nei cosiddetti «hotspot», prima di essere portati nei centri di accoglienza. Questi «hotspot» sono spesso ermeticamente chiusi e limitano fortemente la libertà di movimento delle persone che vi vivono. Nella migliore delle ipotesi, i richiedenti asilo vengono trasferiti nei centri di accoglienza nel giro di 72 ore, ma a causa del sistema sovraccarico sono spesso costretti a restarsene in questi «hotspot» da uno a due mesi. Per i bambini che durante la fuga hanno subito abusi o violenza è particolarmente difficile trovare strutture idonee, poiché spesso soffrono di disturbi psicosociali come sindromi post-traumatiche da stress e hanno bisogno di un sostegno adeguato.
Oltre alla rotta del Mediterraneo centrale esistono altre grandi vie di fuga via mare verso l’UE: la rotta del Mediterraneo occidentale, quella del Mediterraneo orientale e quella dell’Africa occidentale. La rotta del Mediterraneo occidentale parte dal Marocco e dall’Algeria e attraverso lo stretto di Gibilterra punta verso la Penisola Iberica. La rotta del Mediterraneo orientale attraversa la Turchia e porta via mare verso le isole greche dell’Egeo (Lesbo, Kos, ecc.) e, in misura minore, anche via terra in direzione della Grecia settentrionale e della Bulgaria. Attraverso la rotta dell’Africa occidentale i migranti provenienti dal Sahara occidentale, dal Marocco e dalla Mauritania giungono alle Isole Canarie. Nel 2020 vivevano nell’UE circa due milioni di persone provenienti dall’Africa occidentale. Un buon 40 per cento di loro sono donne, il che contraddice la percezione pubblica secondo cui le persone che dall’Africa occidentale emigrano nell’UE sono quasi esclusivamente uomini. Ma le donne arrivano nell’UE molto più raramente attraverso i canali di immigrazione irregolari; in proporzione, arrivano più spesso nel corso del ricongiungimento familiare.
I richiedenti asilo che arrivano nell’UE via terra seguono la rotta balcanica. Questa è suddivisa in due rotte minori: la rotta balcanica occidentale, che attraversa i Balcani interni partendo dalla Grecia e passando per la Macedonia settentrionale e la Serbia, e la rotta balcanica orientale, che dal Bosforo (Turchia) attraverso la Bulgaria e la Romania risale il Danubio e prosegue verso la Serbia.
Vie di fuga attraverso l’Asia e il Medio Oriente
I flussi migratori nel Medio Oriente sono complessi e caratterizzati da forte instabilità. Negli ultimi due decenni, i conflitti prolungati, soprattutto in Siria, in Iraq e nello Yemen, hanno causato estesi movimenti di migranti e sfollati. Attualmente la rotta dell’Asia sud-occidentale è tra le rotte migratorie più frequentate della regione e di tutto il mondo. Soprattutto fattori economici e politici hanno causato ondate migratorie irregolari e miste all’interno, verso e dalla regione, tra l’altro dalla Siria, dall’Iraq, dall’Iran, dall’Afghanistan e dal Pakistan verso la Turchia e talvolta oltre, verso l’Unione Europea.
Per attraversare i valichi di frontiera di questa rotta senza essere scoperte, molte persone in cerca di protezione dipendono da passatori spesso privi di scrupoli. Il rischio di diventare vittime di sfruttamento e violenza fisica e psichica è particolarmente alto. Secondo studi dell’UNODC, una percentuale significativa della tratta dei minori si svolge nel contesto migratorio: passatori e trafficanti di esseri umani sfruttano a proprio vantaggio la vulnerabilità dei bambini e li costringono ai lavori forzati e alla prostituzione.
Oltre alla rotta sud-occidentale c’è un’altra rotta migratoria di massa attraverso l’Asia: la rotta dell’Asia sud-orientale. Qui le persone in cerca di protezione, provenienti tra l’altro dal Myanmar e dal Bangladesh, cercano di attraversare il Lago delle Andamane e lo Stretto di Malacca, soprattutto per raggiungere le coste dell’Indonesia, della Thailandia e della Malesia.
Vie di fuga attraverso l’Africa e il Medio Oriente
Contrariamente alla percezione diffusa, la migrazione africana si svolge in gran parte all’interno del continente. I migranti abbandonano i loro Paesi d’origine in cerca di opportunità di impiego nei Paesi limitrofi.
Le maggiori rotte migratorie di massa nell’Africa occidentale e settentrionale corrono lungo la rotta nordafricana e la rotta del Mediterraneo centrale verso l’Europa. Ma anche le regioni dell’Africa orientale e del Corno d’Africa sono interessate da un elevato livello di mobilità. Una combinazione di conflitti che perdurano e si riaccendono, persecuzioni, povertà diffusa a livello regionale, influssi ambientali quali i periodi di siccità prolungati e la ricerca di un futuro migliore favoriscono complessi spostamenti di popolazione. La migrazione dalla regione si svolge su tre vie di fuga principali: la rotta orientale verso lo Yemen e gli Stati del Golfo, la rotta meridionale verso il Sudafrica e la rotta settentrionale verso il Nord Africa.
Quella dell’Africa orientale è tra le rotte migratorie più frequentate e pericolose del mondo. Segue il tragitto via terra e via mare dal Corno d’Africa verso lo Yemen, il Medio Oriente e oltre. Partendo dal Corno d’Africa, molti migranti salpano dalle coste del Gibuti e della Somalia e attraversano il Golfo di Aden in direzione dello Yemen. Una piccola parte di loro si ferma nello Yemen per chiedere asilo o cercare lavoro, ma la grande maggioranza intende attraversare il Paese per giungere nei vicini Stati del Golfo, in particolare in Arabia Saudita. Nonostante la pericolosa traversata del Golfo di Aden, con imbarcazioni non adatte a prendere il mare, la minaccia del conflitto nello Yemen e i severi controlli al confine con l’Arabia Saudita, nel 2023 lo Yemen ha registrato 92 000 arrivi. Il numero effettivo di persone che percorrono questa rotta è probabilmente molto più alto. Il perdurare del conflitto nello Yemen e, di conseguenza, le possibilità limitate di accesso alla costa ostacolano notevolmente la registrazione precisa degli arrivi.
Ma non tutti lasciano la terraferma in Gibuti e in Somalia, come mostra l’esempio di questa bambina etiope di sei anni:
La rotta meridionale, che si sviluppa prevalentemente via terra, dal Corno d’Africa attraversa il Kenya, la Tanzania, il Malawi, il Zambia e lo Zimbabwe e punta verso il Sudafrica.
La rotta settentrionale segue il percorso via terra che dal Corno d’Africa attraversa il Sudan, l’Egitto e la Libia. Nel Nord Africa questo flusso migratorio si unisce ai flussi di profughi e migranti provenienti dall’Africa occidentale e confluisce nella rotta del Mediterraneo centrale. Soprattutto a causa del conflitto in Sudan, dal cui inizio l’aprile scorso è trascorso un anno, il numero di persone che percorrono questa rotta ricomincia a crescere.
Vie di fuga attraverso l’America
I flussi migratori attraverso il Messico e l’America centrale sono svariati e strettamente collegati tra loro. Molti dei Paesi sono contemporaneamente Paesi d’origine, di transito e target. Ogni giorno bambini e famiglie dell’America meridionale e centrale abbandonano la propria terra per intraprendere il pericoloso viaggio verso nord. Le cause di questo flusso migratorio sono svariate: oltre che dalla povertà estrema, dalla violenza onnipresente e dalla mancanza di opportunità di istruzione, molte persone vengono indotte a intraprendere questo lungo viaggio anche dal desiderio di riunirsi ai familiari già emigrati.
Molte delle famiglie più povere e svantaggiate della regione non hanno nessuna opportunità di percorrere vie migratorie sicure e regolari e di conseguenza seguono rotte pericolose e irregolari. La maggiore in questa regione è la rotta dell’America centrale, che parte dall’America Latina e attraversa Paesi dell’America centrale come il Guatemala, l’Honduras ed El Salvador verso il Messico, per proseguire verso gli Stati Uniti. Durante il viaggio, i bambini e le famiglie sono esposti al pericolo continuo di sfruttamento e detenzione – una minaccia che non finisce nemmeno dopo che sono riusciti a superare il confine. I bambini non accompagnati e le donne rischiano maggiormente di diventare vittime di trafficanti di esseri umani, bande criminali o forze di sicurezza violente.
Molte famiglie e bambini vengono incarcerati durante il viaggio o rispediti ai loro Paesi d’origine, dove spesso le condizioni di vita sono ulteriormente peggiorate rispetto a prima della fuga: molti di loro si sono fortemente indebitati per finanziare il viaggio e i bambini spesso soffrono delle conseguenze della detenzione o del respingimento. Per di più, spesso sono emarginati dalle loro comunità e considerati dei falliti. Anche la minaccia della violenza continua a essere presente. Particolarmente a rischio sono i minori non accompagnati: spesso non hanno una casa in cui tornare e diventano bersaglio di bande criminali. In una situazione così disperata, la probabilità che partano di nuovo verso il Nord è alta.
Secondo delle stime, soltanto da gennaio a settembre del 2023 sono migrati attraverso il territorio guatemalteco più di 105 000 bambini, il che corrisponde a circa 400 bambini al giorno. La maggior parte delle persone proviene dal Venezuela, da Cuba, dall’Ecuador, da Haiti e dalla Colombia.
Proteggere i bambini profughi: così aiuta l’UNICEF
La migrazione e lo sfollamento caratterizzano in modo determinante la realtà di milioni di bambini in tutto il mondo. Durante il loro viaggio, spesso pericoloso, attraversano frontiere, continenti e oceani; non di rado sono esposti a gravi violazioni dei diritti. Ma la sofferenza e l’emarginazione di bambini migranti e sfollati non è solo inaccettabile, è anche evitabile. Perché un bambino è un bambino, indipendentemente dalla sua origine e dal suo status migratorio. Ogni bambino ha gli stessi diritti universali alla protezione e all’assistenza. Per questo l’UNICEF adotta un approccio globale: oltre a combattere le cause di questi flussi migratori, ci impegniamo per la protezione dei bambini lungo le vie di fuga e nei Paesi d’origine e target.
«I diritti dei migranti sono diritti umani: vanno rispettati senza alcuna discriminazione, indipendentemente dal fatto che la loro immigrazione sia forzata, volontaria o formalmente autorizzata. Dobbiamo compiere ogni sforzo per evitare la perdita di vite umane: è un’esigenza umanitaria e un dovere morale e giuridico.»
Per combattere durevolmente le cause della fuga dei bambini, l’UNICEF lavora a stretto contatto con i Paesi d’origine. Con innumerevoli misure come offerte educative, servizi idrici, sanitari e igienici (WASH) e sistemi di protezione per l’infanzia, l’UNICEF migliora la situazione dei bambini nel loro Paesi d’origine e fa sì che non siano neppure costretti ad abbandonare la propria terra.
Lungo le vie di fuga, e soprattutto nei campi profughi, l’UNICEF fornisce ai bambini beni di prima necessità indispensabili per la sopravvivenza, quali acqua, generi alimentari e indumenti, e permette loro l’accesso a servizi come il sostegno psicosociale, la protezione dell’infanzia e offerte educative – indipendentemente dal loro status giuridico o da quello dei loro genitori. Inoltre, l’UNICEF offre «spazi a misura di bambino», luoghi sicuri dove i bambini possono giocare, mentre le madri possono riposarsi e dar da mangiare ai loro neonati in tranquillità. L’UNICEF aiuta anche a migliorare l’assistenza a bambini e adolescenti non accompagnati e separati dai loro genitori e li informa sui servizi disponibili. Inoltre, l’UNICEF fa appello ai governi perché si trovino soluzioni conformi ai diritti dell’infanzia e durature, si allestiscano vie migratorie sicure e legali e si eviti per quanto possibile la separazione dai genitori.
Per molti bambini, l’arrivo in un Paese target comporta tutta una serie di nuove sfide, come ad esempio l’adattamento a una nuova cultura, l’apprendimento di una nuova lingua e l’elaborazione delle esperienze vissute durante la fuga. Per questo l’UNICEF si impegna per l’integrazione a lungo termine dei figli di rifugiati e migranti nei Paesi ospitanti e rafforza i sistemi nazionali di protezione dell’infanzia. Inoltre, l’UNICEF promuove il rimpatrio dei bambini nel corso del ricongiungimento familiare e il reinserimento nel loro Paesi d’origine.