Da quando sono stato nominato ambasciatore dell’UNICEF più di quindici anni fa, ho sempre ritenuto importante vedere con i miei occhi come vengono utilizzate le donazioni dalla Svizzera. Di recente, nel quadro della «Settimana delle stelle» ho avuto l’opportunità di visitare il campo profughi di Mahama, dove trovano rifugio 60 000 persone in fuga dal Burundi.
Durante la «Settimana delle stelle», un progetto comune dell’UNICEF Svizzera e Liechtenstein e del settimanale «Schweizer Familie», vengono raccolte ogni anno donazioni da destinare a una regione di crisi. I bambini in Svizzera danno libero sfogo alla loro fantasia per cambiare la vita dei loro coetanei meno fortunati e ogni edizione consente di raccogliere diverse centinaia di migliaia di franchi. Nel 2019, sono andati a favore di 35 000 bambini costretti a vivere in condizioni drammatiche nel campo di Mahama. Per rispettare l’impegno dimostrato dai nostri figli e dai nostri nipoti, dobbiamo accertarci che questi fondi vengano utilizzati in modo efficace. Ecco dunque un breve resoconto del mio viaggio in Ruanda.
Sin dal nostro arrivo, Bettina Junker, Direttrice generale dell’UNICEF Svizzera e Liechtenstein, Daniel Dunkel, caporedattore della «Schweizer Familie», e io abbiamo dovuto fare i conti con condizioni meteorologiche avverse. La trasferta di diverse ore dalla capitale Kigali al campo profughi è stata infatti accompagnata da violenti precipitazioni che hanno complicato non poco il compito degli autisti.
Nei cinque anni di esistenza del campo, sono sorte piccole abitazioni nelle quali trovano rifugio gli sfollati. Circa 60 000 persone vi vivono in condizioni durissime, dormono con un paio di coperte sul pavimento in argilla e devono cavarsela con pressappoco cinque dollari al mese.
I 35 000 bambini non hanno alcuno spazio per giocare e lasciarsi alle spalle, anche solo per un momento, la drammatica quotidianità. Il ricavato della «Settimana delle stelle» consentirà di allestire aree protette sorvegliate in cui poter elaborare il trauma della fuga. La gioia e la spensieratezza di questi bimbi quando riescono a mettere da parte per quale minuto la loro difficile situazione, per esempio durante la lezione quotidiana di ginnastica, mi hanno profondamente toccato.
I fondi della «Settimana delle stelle» consentono anche di acquistare qualche giocattolo per stimolare la creatività dei piccoli profughi, una cosa scontata alle nostre latitudini.
A tale scopo, servono però operatori che forniscano ai bambini gli impulsi giusti e che li accompagnino nella scoperta attraverso il gioco. L’UNICEF e la «Settimana delle stelle» contribuiscono a formare e a occupare queste persone.
L’UNICEF crea spazi protetti e sorvegliati in cui giocare e divertirsi, trovare qualcuno che ascolti le proprie preoccupazioni, parlare delle proprie paure. Centinaia di bambini, infatti, sono fuggiti senza i genitori e devono occuparsi dei fratelli più piccoli.
Per noi è impossibile immaginare che cosa significhi cercare di imparare qualcosa in una classe con cento e più allievi, tutti incastrati attorno a banchi troppo piccoli. E certo non siamo abituati a vedere un’insegnante con il proprio figlio sulla schiena.
Ma i bimbi sono curiosi, vogliono apprendere, desiderano costruirsi un futuro. Ed è proprio questo l’obiettivo dell’UNICEF e del settimanale «Schweizer Familie» con la «Settimana delle stelle»: regalare alle nuove generazioni la speranza in un futuro migliore, qui in Ruanda e ovunque i bambini sono le prime vittime di politiche e conflitti.
Anche se non possiamo cambiare il mondo, spetta comunque a noi sostenere i più giovani affinché possano condurre una vita degna di questo nome. Grazie dunque di cuore a tutti coloro che hanno permesso alla «Settimana delle stelle» di essere il consueto successo.
Bettina Junker dell’UNICEF, Daniel Dunkel di «Schweizer Familie» e Kurt Aeschbacher