Il 12 giugno, Giornata internazionale contro il lavoro minorile, dodici storie mostrano la dura realtà di bambini costretti a lavorare in condizioni pericolose o di sfruttamento. Vi presentiamo inoltre gli ultimi sviluppi sul tema e le risposte alle principali domande.
La situazione attuale
Nel quadro dell’Agenda 2030, la comunità internazionale ha approvato l’obiettivo n. 8.7, ossia porre fine entro il 2025 al lavoro minorile in ogni sua forma. Nonostante i passi avanti compiuti negli ultimi due decenni, dai dati più recenti emerge che a livello mondiale i progressi sono stagnanti dal 2016. Conflitti, crisi e la pandemia di coronavirus hanno fatto precipitare nella miseria numerose famiglie e aumentare il rischio di povertà minorile.
Nel 2020, il lavoro minorile concerneva circa 63 milioni di bambine e 97 milioni di bambini. Altri nove milioni di minori si sono aggiunti a causa delle ripercussioni del Covid-19, cosicché ora nel mondo quasi un bambino su dieci è costretto a lavorare. Poco più della metà ha meno di dodici anni. La situazione è drammatica in particolare in Africa, ma anche l’Asia non è da meno. I maschi sono più colpiti rispetto alle femmine. Quest’ultime, tuttavia, sono più sovente obbligate ad assumere mansioni domestiche che non sempre figurano nelle statistiche.
Non c’è niente di male se i bambini aiutano i genitori nei campi, al mercato o in un commercio, anzi assumersi determinate responsabilità può giovare allo sviluppo. Le attività svolte devono tuttavia essere commisurate all’età e non devono esporre a pericoli né sfociare nello sfruttamento: se pregiudicano lo sviluppo fisico o mentale e l’istruzione, si tratta infatti di lavoro minorile, una violazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia.
La scuola è imprescindibile
Nel mondo, circa 53 milioni di bambini lavoratori non frequentano la scuola, mentre milioni vanno sì a lezione, ma devono lavorare duramente nel tempo restante. Questo doppio carico è spesso insopportabile: molti interrompono gli studi o non riescono a stare al passo con gli altri allievi, il che riduce le loro possibilità di un futuro migliore e di una retribuzione equa.
La povertà quale fattore principale
La povertà è la causa principale del lavoro minorile. Molti genitori spesso non hanno altra scelta se non mandare i figli a lavorare nelle piantagioni, nelle discariche, nelle fabbriche e nelle miniere affinché contribuiscano al mantenimento della famiglia: è spesso una questione di mera sopravvivenza che fa passare in secondo piano l’istruzione. Finché ci sarà povertà, il lavoro minorile non cesserà di esistere.
In cifre assolute, il lavoro minorile è di nuovo in aumento
Nel mondo, il lavoro minorile è stagnante dal 2016. La percentuale di bambini lavoratori (10 per cento) è rimasta invariata nell’arco dell’ultimo periodo di rilevamento (2016-2020), mentre in cifre assolute si riscontra un incremento di oltre otto milioni. Lo stesso vale per i bambini costretti a svolgere lavori pericolosi: la percentuale è rimasta più o meno invariata, il numero complessivo è cresciuto di 6,5 milioni.
Situazione drammatica nell’Africa subsahariana
Il lavoro minorile è diffuso in modo eterogeneo nel mondo: se tuttavia negli ultimi anni in Asia, America latina e nella regione del Pacifico è in calo, nell’Africa subsahariana sta nuovamente aumentando e interessa un bambino su cinque. Soprattutto nelle regioni colpite da conflitti, siccità o alluvioni, la miseria costringe i piccoli a lavorare. Anche in Medio Oriente, negli ultimi anni il numero di bambini profughi che lavorano è aumentato a causa delle guerre in Siria e in Yemen.
Il settore agricolo il più colpito
Il 70 per cento dei bambini lavoratori è impiegato nell’agricoltura, nella pesca, nella selvicoltura o nell’allevamento, il 20 per cento circa nel settore dei servizi, per esempio come aiuti domestici, o nell’industria del sesso, il 10 per cento nel settore industriale, inclusa l’estrazione mineraria. Oltre due terzi sono tuttavia occupati in ambito familiare, ossia nei campi, con gli animali o nei commerci che appartengono alla loro famiglia. Non di rado, sgobbano più di dodici ore al giorno e non sono retribuiti.
Lotta al lavoro minorile
La protezione più efficace dal lavoro minorile è la lotta alla povertà. Dove imperversa la miseria, infatti, di regola attecchisce il lavoro minorile. In tale ottica, occorre garantire la sicurezza sociale dei bambini e delle famiglie. Nel mondo, 1,77 miliardi di minori sono esclusi dalle prestazioni sociali, pur trattandosi di un diritto universale e di una condizione per un mondo senza povertà.
Servono inoltre migliori condizioni di lavoro per gli adulti, a cominciare da salari più alti. Solo chi guadagna abbastanza può nutrire la famiglia senza essere costretto a mandare a lavorare i figli. Un altro strumento essenziale sarebbe la registrazione sistematica delle nascite: non appena un bambino esiste ufficialmente, cala il rischio di sfruttamento. Occorre infine stanziare più fondi per l’istruzione e garantire il ritorno a scuola dei bambini.
Responsabilizzare le aziende
Oltre ai governi, il cui compito è applicare efficacemente le leggi per la protezione dei diritti dell’infanzia e contro il lavoro minorile, occorre coinvolgere le aziende, detentrici di un’enorme responsabilità sociale. In collaborazione con Save the Children e il Global Compact, l’UNICEF ha elaborato dieci principi guida volti ad accompagnare le imprese nel rispetto dei diritti dell’infanzia. Lo scopo è renderle attente su eventuali violazioni e conseguenze negative delle loro attività, nonché sulle misure da adottare, ad esempio condizioni lavorative eque o la tutela della salute di tutti i dipendenti.