Dieci anni di conflitto hanno portato alla popolazione siriana solo miseria e dolore. Quasi sei milioni di bambini nati durante il conflitto non conoscono altra realtà, 3,2 milioni non frequentano la scuola. La pace pare più che mai lontana. Dobbiamo fare tutto quanto in nostro potere per restituire una parvenza di normalità a questa infanzia e contribuire alla ricostruzione graduale del paese.
Riuscite a immaginare che cosa significhi vivere in un conflitto o in fuga con la paura costante di un nuovo attacco armato? I sei milioni di bambini nati dall’inizio della guerra in Siria non conoscono altro che violenza, lutto e miseria. Possono giusto sognare di tornare a casa, di avere abbastanza cibo in tavola, di andare spensierati a scuola. Desiderano solo stare bene, lasciarsi alle spalle i traumi e non dover più dormire tra le rovine esposti al gelo dell’inverno, e sarebbero certamente felici di poter contare su un sistema sanitario funzionante. Purtroppo, per la maggior parte di questa infanzia è solo un miraggio.
Da quasi dieci anni, la Siria è dilaniata da una guerra civile che ha generato la maggiore crisi migratoria dalla Seconda guerra mondiale. Dall’inizio degli scontri nel 2011, oltre dodici milioni di persone – la metà bambini – sono fuggiti e hanno subìto traumi, e quasi 12 000 bimbi hanno perso la vita o sono rimasti feriti. La violenza prosegue senza soluzione di continuità: l’anno scorso, gli attacchi armati hanno mietuto più di cinquecento giovani vittime, dall’inizio del 2021 se ne contano già oltre venti.
I combattimenti si concentrano soprattutto a Idlib, nel Nordovest del paese, l’ultimo bastione dei ribelli. Lì si è stabilita anche la maggior parte degli sfollati interni. Le condizioni nei campi profughi come quelli di Al-Hole e Kafr Lusin sono precarie. A gennaio 2021, violente precipitazioni hanno causato l’inondazione delle tendopoli, rimaste completamente isolate.
Si stima che 1,2 milioni di bambini nel solo Nordovest della Siria vivano nella miseria più nera. Le famiglie cercano riparo in edifici pubblici, come scuole, moschee, negozi e costruzioni non ancora terminate. Molti dormono all’addiaccio nei parchi, anche quando piove e durante i rigidissimi inverni. L’accesso ai beni di prima necessità, per esempio acqua, articoli per l’igiene personale o impianti sanitari, è molto limitato, quando non addirittura inesistente.
La pandemia aggrava la situazione
Nei campi profughi è impossibile rispettare il distanziamento sociale e le regole igieniche. La popolazione soffre la fame e ora la pandemia aggrava la situazione, con un aumento dei bisognosi del 20 per cento lo scorso anno. Il 65 per cento delle famiglie ha dichiarato di non essere in grado di sovvenire alle proprie necessità di base, quasi l’80 per cento degli abitanti vive in condizioni di povertà, 500 000 bambini soffrono di malnutrizione cronica.
Il sistema sanitario siriano è pesantemente compromesso, con solo il 42 per cento degli ospedali in esercizio e una carenza generalizzata di medici e farmaci. Anche lo stato della salute mentale di bambini e giovani è preoccupante: nel solo 2020, il numero di minori con problemi psichici è raddoppiato, una chiara indicazione delle conseguenze permanenti della guerra sulla psiche dei più piccoli.
Scuole nei prefabbricati per realizzare sogni
3,2 milioni di bambini siriani – 2,45 milioni entro e 0,75 milioni fuori dai confini nazionali – non vanno a scuola. Una scuola su tre è impraticabile perché danneggiata, distrutta, occupata dalle famiglie in cerca di riparo o utilizzata per scopi militari.
Molti bimbi non hanno mai visto un’aula o se ne ricordano solo vagamente. Con i suoi programmi, l’UNICEF sostiene anche l’istruzione, ad esempio con la costruzione di scuole come quella di Al-Hasaka, dove 2400 alunni possono riprendere le lezioni in dodici aule prefabbricate.
«Dobbiamo fare tutto quanto in nostro potere per regalare prospettive all’infanzia siriana.»